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Quell’anno gli asini saran stati più di duecento. I quali, allorquando i cavalieri smontarono per il primo pasto, vennero legati alla staccionata lungo la strada.

Or accadde che, mentre si faceva colazione su un prossimo poggio, un asino andasse a grattarsi le groppe ad una bigoncia accomodata ad alveare e ciò facendo la rovesciasse. Questo cagionò il rovesciamento di altre tre o quattro bigoncie-alveari prossime. Gli sciami uscendone investirono gli asini. | quali si misero a tempestar di calci l’aria che, in pari tempo, riempivano di altissimi ragli. Ma finirono per riuscire a liberarsi dai vincoli che li trattenevano alla staccionata ed a mettersi in salvo. Un minuscolo somarello sardignolo, però, non fu altrettanto fortunato e gli sciami si volsero tutti su di lui, che scalciava e ragliava disperatamente.

Tutti i cavalieri, interrotto il pasto, erano accorsi e barbaramente ridevano degli sforzi del povero somarello per liberarsi. Io, calata la visiera dell’elmo, corsi per soccorrerlo. Ma un altro mi precedeva, avendo avuto lo stesso mio slancio di pietà.

Era, questo pietoso, un bellissimo giovane dai capelli biondi inanellati, elegantemente vestito di velluto nero e bene inguantato. Il quale, copertasi la faccia con un fazzoletto, correva come me al soccorso del povero somarello. Presso di questo ci incontrammo, lo sciogliemmo e lo conducemmo in salvo.

Mentre procedevamo al salvamento della orecchiuta bestia, io che mi teneva per l’ultimo dei mortali, l’anello di congiunzione tra l’asino e l’uomo, pensavo: se egli è tanto pietoso per una bestia sarà gentile anche per me!

Questo avvenente e gentil giovine era l’inglese Federigo Leighton che tanta parte ed influenza ebbe, poi, nella mia vita.


Io fui uno dei vincitori alle gare di quel giorno. Vinsi al medioevale gioco dell’anello, il quale consiste nell’infilare una canna, brandita come una lancia, in un anello mentre il cavallo è spinto a tutta carriera. Ed arrivai primo nella corsa degli asini. Tuttora conservo il premio per questo toccatomi;