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basso all’Aniene; e con i fucili si cacciavano le volpi. Si stringevano contro il fiume, obbligandole a passarlo a nuoto.


Dopo Tivoli andai, nel tardo autunno, a Castel Fusano. Poi andai a Porto d’Anzio, dove feci il bozzetto del quadro che tuttora conservo della «manaide», che sta nel centro di questo quadro.

Dopo una nottata piovosa, alla mattina, mentre si apriva il cielo, vidi delle donne che aveano sulla testa strani fardelli, che poi conobbi essere radiche di alberi, delle quali caricavano una barca. Ne ebbi una grande impressione; e principiai il quadro che fu compiuto nel ’52.

Fino da allora io stabilii la norma fondamentale per fare un quadro.

E cioè: far prima, sul vero, un bozzetto di impressione il più rapidamente possibile; e, poi, fare dal vero studi dei particolari. Finalmente abbozzare il quadro, stando attaccato al concetto del bozzetto non togliendo mai le pupille dall’eterno bozzetto.

Lo chiamo «eterno» perchè ispirato dall’amore dell’eterno vero.


Nel ’50 dovetti fare un’apparizione nella mia famiglia, che io avea lasciato nel ’49, all’indomani dell’entrata dei Francesi in Roma. La ragione fu la condotta della mia sorella Angelina. La quale quanto più desiderava il suo Ballon — così chiamavasi l’ufficiale francese ospitato nella casa paterna e che essa voleva per marito — tanto meno era da lui corrisposta. Ed allora essa accusava i fratelli, andando in giro a dire che questi osteggiavano il suo matrimonio con un francese.

I fratelli, quindi, per scolparsi fecero davanti due testimoni — il barone Camuccini ed il cardinale Ferretti — confermare al Ballon ch’era lui ché non la voleva sposare. Dopo questo, l’infelice si chiuse in una camera ricusando il cibo per morir di fame; e si affacciava alla finestra gridando ai passanti che i fratelli l’aveano chiusa là dentro e privata di alimenti perchè non volevano che sposasse un francese.