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Quasi tutti nel paese di San Polo aveano per casato Meucci; ed eran gente sicura, intelligente, con amor allo studio, poeti.
Ricordo tra gli altri, un Meucci, vecchio pecoraro, tipo originalissimo. Costui durante l’assedio, soleva montar ogni mattina su di una altura da cui poteva scorgere Roma e la cupola di San Pietro e visto che questa era tuttora intatta, tornando, non mancava mai di dire ai compaesani:
— La capanna c’è, il pecoraro torna!...
Dopo tre anni che Trusiani viveva da bandito tra quei boschi, intensificandosi i tentativi di acciuffarlo, non potendo più reggere ai disagi ed alle ansietà di quella vita randagia, mi fece sapere a mezzo di un carbonaro lucchese che una sera o l’altra sarebbe venuto da me, come piede a terra, ma che gli procurassi un passaporto per andarsene lontano.
Una sera, infatti, standomene io sempre all’erta, sentii picchiare alla mia porta. Aperto, mi vedo dinanzi due metri e mezzo di carbonaro, fra sacco ed uomo, che mi diceva di aver buon carbone. Era Trusiani. Lo abbracciai e lo baciai; poi andammo a lavarci insieme.
Dopo pochi giorni egli mi scriveva, da Genova, che era in salvo con la coscienza e la camicia netta.