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— Perdio!... Che sei geloso?

E Croce:

— Ma tu chi sei?... Va a morì d’accidenti....

Questo in breve e concitatamente; e non levando l’uno gli occhi dagli occhi dell’altro. Intanto ci eravamo accostati ed entrambi ci frugavamo in tasca....

In quel momento l’oste, come intesi, lasciando andar il cordino fece cadere il lume centrale e spense il lume che avea in mano. Rimasti al buio più assoluto, afferrai la Peppina per la mano, Alessandro aprì la porticina e tutti e tre scivolammo nell’oscuro corridoio. Una carrozza, che ci aspettava, ci condusse allo studio di Massabò, dove nascosi Peppina nel mio studietto.


Assieme a Castellani, dopo questa prima, compimmo non poche altre simili imprese rischiose e divertentissime, essendo egli pien di spirito e molto coraggioso, tra la ferocissima malavita romana di quell’epoca.

Questa prima impresa, però, ebbe un seguito ed una fine del tutto impensata. L’oste andò a reclamare dalla polizia il pagamento del vino; e, pur senza averne voglia, svesciò ogni cosa.

La polizia, allora, fece una retata di tutta quanta l’onorata compagnia. Al Croce furon cavati fuori alcuni vecchi conti rimasti in sospeso e furon saldati con ventidue anni di galera.


A Roma, dopo l’assedio, si era tutti mazziniani. V’erano circa undicimila affiliati che pagavano una tassa mensile. V’erano, poi al lato di quelli, ma indipendenti le «Teste d’Argento», che erano una sorta di corpi franchi. Già le vedemmo all’opera prima dell’assedio. Nei primi tempi, dopo questo, colpirono Strinati, tenente dei carabinieri pontifici, ammazzarono Tableau feroce sbirro, ammazzarono Evangelisti, attentarono a Nardoni capo della polizia pontificia.

Verso il 1850 andai ad abitare al palazzo Lepri, ora Silvestrelli, in via della Mercede.