Pagina:Quel che vidi e quel che intesi.djvu/141


— 83 —

Andammo la sera molto tardi. lo vestito da buttero, Alessandro Castellani da «minente» trasteverino. Già i ladri con le loro belle aveano assai bevuto; e le danze principiavano.

Noi, preso posto vicino alla porticina, applaudivamo la bravura dei ballerini; ma eravamo guardati con alquanto sospetto da quei gentiluomini.

Alessandro Castellani, che fu uomo di grandissimo spirito, propose di cantare. E cantò, come egli sapeva, con voce incantevole, insinuante, che gli valse subito la maggior simpatia di quel bestiale uditorio. II Cacciarino suonava la chitarra; e demmo la stura agli stornelli, che si usava cantare, un dopo l’altro. Cantò primo Alessandro deliziosamente:

«Venimo da via Rasella
«Colla nova tarantella»

— La volete?

La volemo! — rispondevano maschi e femmine.

— Badate che....

«Pizzica e mozzica
«E fa ogni cosa....
«. . . . . . . . .»

Venne la mia volta. Ed io, piantando gli occhi fissi in viso a Croce, cantai:

«Fiorin di serva
«Beato sia colui che me la sarva
«Da’ crudi artij della brutta berva».

Dopo aver un po’ ricamato su questo tanto semplice stornelluccio, mi volsi al Croce e gli dissi, ammiccando la Peppina:

Embéè, paranza nun me la volete cede un pò? Perchè noi semo paranze....

Ed egli:

Vennimmo a dì pè un discorso.... che questa è mmia e nun la cedo a gnissuno....

Ed io: