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sfilava ed urlava contro di quelli; pare che il dott. Pantaleoni, invece, si mostrasse contento dell’entrata dei Francesi o che so io. Non compresi bene, perchè io mi trovavo dell’altra parte della strada e fra me e lui sfilavano i Francesi. Ma vidi bene che ad un tratto, il popolo, voltata la schiena a questi, assaliva inveendo un’uomo, ed era questo il dott. Pantaleoni. Che, piccolo e snello, cavato fuori lo stocco dal bastone, con lo stesso difendendosi, potè salvarsi saltando su una vettura che passava.

Sfilavano tuttora i Francesi quando giunsi per il Corso al Caffè Nuovo, che era al mezzanino di palazzo Ruspoli. Non vi era dentro più un tavolino, tutto al passaggio delle truppe straniere avean gettato dalla finestra.


Mentre entravano in Roma i Francesi, Garibaldi radunava sulla piazza di San Giovanni in Laterano tutti quei volontari che volevano seguirlo in nuove imprese. Ne raccolse alcune migliaia, con i quali uscì da Roma per destinazione ignota. Sono sicuro che così facendo Garibaldi non ebbe altro in animo che vuotare Roma, in momenti in cui non c’era governo, di elementi pericolosissimi. Questo non mi disse chiaramente, ma me lo fece intendere. Nei casi più gravi e disperati ancor più rifulge in tutta la sublimità sua la grande anima dell’eroe. Quel che fece e quel che ebbe a soffrire dopo aver lasciato Roma narra la storia.

La sera dell’entrata dei Francesi in Roma finalmente mi coricai nel mio letto per dormire. Non mi svegliai se non alle due e mezza del giorno appresso.

Che era nel frattempo accaduto?

Quelli di mia famiglia se ne erano tornati nel palazzetto comune di San Francesco a Ripa; e vi avean dato alloggio ad alcuni ufficiali dello Stato Maggiore francese. Difatti, destatomi, sentivo parlare nel cortile in lingua francese. Fattomi alla finestra vidi mia sorella Angela, con in mano un «pelone» della Guardia, discorrere con un ufficiale nemico. Essa mi avea più