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E dette gli ordini riguardo al Valeri che vennero eseguiti immantinente.
Tornato la sera in Trastevere sentii che benedicevano Garibaldi.
La sera, generalmente, io la passavo negli ospedali.
La sera del 21 giugno io mi trovavo all’ospedale della Scala; il dott. Feliciani stava amputando lo stinco di un ferito, quando con gran fracasso sopraggiunse nell’interno della chiesa, ove ci trovavamo, una bomba che ne aveva sfondata l’abside. L’infermiere che reggeva la gamba all’amputando fece atto di scapparsene senza lasciar la gamba, rischiando di tirar in terra il ferito.
Erano, intanto, portati altri feriti tutti colpiti alle gambe, cosa che non si sapeva a che attribuire.
Questo affluir di feriti dicendomi che alle mura doveasi combattere, decisi andarvi subito. Ma volli prima passare da casa mia; io vi conservavo molti razzi pirotecnici di quelli che, esplodendo in aria, per qualche minuto danno luce. Io pensai di recarli alle mura dove sarebber stati utili per illuminare il campo di battaglia. Eran, questi razzi, parecchi e non bastando da solo a portarli tutti, volonteroso mi aiutò alla bisogna certo Lubrani, giovane popolano.
Avviandoci col nostro carico, subito ci accorgemmo che le cose doveano essere ben serie lassù alle mura. Non appena preso l’interno di queste già si sentiva uno strano rumore lontano, un gran calpestio insieme ad angosciose voci. Principiavamo ad affrontar l’erta della collina, quando vedemmo un gran turbinare di militi in fuga, folli di terrore ed imprecanti al tradimento. Essi tenevano i fucili con la baionetta innestata, a bilancia a mezza canna. Con gli esplosivi per di più ch’io avea addosso, essere investito da questa ondata di uomini - armati ed imbestialiti dalla paura fu, per me, il più gran pericolo ch’io abbia passato nella vita. Fortuna era che il Lubrani