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contro, essendo il colle a precipizio, e gridavano dall’alto il loro «Chi va là.» Ma noi eravamo al coperto e non temevamo le fucilate.

Compiuto il carico delle bestie, spalancata ad un tratto la porta, ciascun di noi tenendo un mulo sotto mano, ci slanciammo a corsa per un certo viale che metteva alla strada maestra che mena a Porta Portese. Ci tirarono non poche fucilate, ammazzandoci il povero mulo che veniva per ultimo. Ma salvammo il vino.


Un altro giorno, stando ad una finestra di casa mia vidi un uomo che dall’orto dei frati di San Francesco a Ripa tirò una fucilata e ferì uno dei difensori delle mura. Vidi il subbuglio che l’incidente cagionava fra questi. Previdi cosa sarebbe avvenuto. Corsi immediatamente dai frati; feci uscire e nascondere i frati giovani nell’orto opposto, che si estende fino alla chiesa di Santa Maria dell’Orto. I frati vecchi li misi tutti nell’infermeria.

Come io aveva preveduto, sopraggiunse poco dopo la caterva dei furibondi che intendeva ad ogni costo di far vendetta sui frati. Io li condussi nell’infermeria e tenni loro presso a poco, questo discorso:

— Questi soli frati abitano ora il convento. Gli altri sono tutti all’Aracoeli. Gli eroi che difendono le mura dell’Eterna Città non insanguineranno il loro ferro col sangue di questi poveri vecchi. Garibaldi è amico loro appunto perchè sono poveri, e li ha forniti di vino, olio e grano.

Con ciò li calmai. Dopo di che, sbolliti gli sdegni, potei spiegar loro come Trastevere fosse la parte di Roma più bersagliata dal fuoco del nemico.


E questo era vero. Sopratutto lo era la parte di Trastevere prossima a ponte Sisto; poichè tutte le palle destinate a battere in breccia, che superavano spalti e bastioni, venivano a piovere in quella parte della città.