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XV.

DURANTE L’ASSEDIO.


Una notte, assieme a Toto Ranucci ed altri pochi, andammo ad affiggere il «Don Pirlone» al cancello del casino dei Quattro Venti. Era questo un giornale umoristico, nel quale era raffigurato il supremo comandante francese, generale Oudinot, in ginocchioni per servir la messa al Pontefice ed avente nelle suola delle scarpe l’articolo V della Costituzione della Repubblica Francese.

Le sentinelle avanzate ci diedero il «Qui vive» e quindi una scarica. Non potendo noi tenere il viale, prendemmo a sinistra, dove il monte va quasi perpendicolarmente nella valle del Tevere. Incalzati camminavamo a parte a dietro per non far il tombolone. Eravamo tra le mura della città e le parallele del nemico con le spalle contro le siepi; cacciando il fucile tra le gambe le sfondavamo e, quindi, passando al modo dei gamberi per non offrire il viso agli spini. Quello che per primo sfondò la siepe si aggrappò al calcio del fucile di quello che gli veniva appresso perchè, per dislivello, v’era da fare un salto di qualche metro. Così, prendendo uno il calcio del fucile dell’altro, facemmo una catena e, non senza ridere ci salvammo dal precipizio e dai Francesi. Credo sarebbe stato, questo, un bel motivo per un pittore fiammingo.


Un’altra volta, sapendo che in un casino abbandonato, sotto al monte, vi eran rimaste alcune botti di vino, volemmo farle nostre in onta al nemico. Vi andammo di notte, chetamente, con dei muli. Entrati, nel tinello caricammo i muli con due barili ciascuno. I Francesi non potevano scendere per venirci