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paro, come leoni si avventano al parapetto e del nemico fan strage.

Anche qui, come a Vicenza, l’artiglieria romana, si portò eroicamente. Io contai nove artiglieri caduti, distesi fra i fiori accanto ai loro pezzi. Fra questi il tenente Pallini ed il tenente Narducci.

Assicuratomi che qui le cose cominciavano ad andar bene, con una vettura rapidamente corsi fuor di Porta San Pancrazio. Vi giunsi nel momento che Garibaldi ordinava ad un piccolo nucleo dei suoi di occupare una casina che era sopra un prato di fronte al secondo cancello di Villa Pamphili. Unitomi a questo nucleo quando fummo alla casina ci contammo: eravamo in 17. Già i Francesi si preparavano ad attaccarla tentando di circondarla. Noi ci impegnavamo a difenderla, ciò che ci divenne impossibile quando i cannoni cominciarono a mitragliare quella specie di capanna.

Allora, di corsa, passammo sotto gli acquedotti dell’Acqua Paola ed entrati dentro Villa Pamphili e chiusi i cancelli, ci appostammo dietro gli alberi di leccio sopra il muro che dà sulla strada che corre più bassa. Eravamo in una posizione eccellente; per attaccarci il nemico dovea salire su di un prato e, quando noi vedevamo apparir i pompons, ci mettevamo in guardia per aspettar che venisser fuori le teste, alle quali si tirava a segno allegramente. Noi avevamo per riparo le arcate dell’acquedotto, il muro che va da un’arcata all’altra e la strada, che equivale ad un fossato, poichè la Villa Pamphili si eleva col suo muro a terrazza sulla quale trovansi dei lecci secolari, dietro cui noi ci riparavamo. E buon per noi, chè queste piante erano, dalla parte del nemico, crivellate di palle.

Con tutto ciò ci tenevamo per perduti, dato l’esiguo numero. E già i Francesi erano al cancello; e già alcuni di essi si battevano corpo a corpo con noi; e già andavamo verso San Pancrazio prendendo lungo le mura della Villa, è già ci sentivamo prigionieri, quando vedemmo alcune compagnie della Legione Romana, sortite da Porta Portese, venire alle spalle in nostro