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belle Valkerie che nei lucenti palazzi aspettano i prodi, Maometto gli amplessi delle Uri: Sparta nulla. Trecento cadono alle Termopile; essa vi colloca una pietra scolpendovi: HANNO FATTO IL LORO DOVERE» —

Tra la gente medesima «i divertimenti stessi non erano che di forza. Negli spettacoli i vecchi cantavano:

Noi pochi i grandi eserciti
          Colpimmo di paura:
          I nostri petti furono
          A sparta invitte mura;
          Ma grave è omai l’età:
          Sparta de’ suoi magnanimi
          Le tombe onorerà.


Allora con allegro tuono soggiungevano i giovani:

Chi di valor ci avanza?
          Per noi son le battaglie
          Gioia d’ionia danza:
          Noi dell’età sul fior,
          Bollente abbiam nell’anima
          Di patria il sacro ardor.


E voci puerili ripigliavano:

Lascia che varchino
          Pochi anni, e poi
          Vedrà la patria
          Che valga in noi
          Desio di gloria,
          Guerriero ardor.


E ponevano gli Spartani cura grande in tramandare alla memoria i versi di Omero, di Terpandro e di Tirteo, e li cantavano andando a battaglia. Così la poesia e la musica insieme congiunte erano la fiamma alla quale ardeva e sfolgorava di gloria il valor cittadino. (Vedi Cantù Storia Univers. Tom. I.)