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48 li zingari

ci spaventerebbe; noi siamo timidi e umani; tu sei audace e feroce; lasciaci, pártiti, vattene in pace!”

Dice, e la truppa nomada ripiegando le tende, esci con gran fracasso dalla valle dolorosa, e in breve ora si dileguò nella steppa immensa. Un solo carro coperto d’un povero tappeto rimase nella funesta pianura. Così, allorchè, avanti l’inverno, al tempo delle nebbie matutine, uno sciame tardivo di grusi alza dai campi e stridendo s’indrizza a mezzogiorno, talvolta avviene che una di esse colpita da piombo mortale resta addietro afflitta, coll’ala pendente e insanguinata.

Sopraggiunse la notte. Nessuno accese il fuoco sotto la tenda del maledetto che non potè gustare le dolcezze del sonno.

Epilogo.

Così, colla magia del canto io evocava nella mia mente le imagini dei giorni andati, oscuri o sereni. Nel paese ove tanto tempo rimbombarono le folgori della guerra, ove il Russo determinò i confini della potenza turca; ove la nostra vecchia aquila bicipite fa legge e impera tuttora, io incontrai un tranquillo accampamento di Zingari figli della libertà. Ma la felicità nemmeno fra voi è da cercarsi, o miseri rampolli della natura! Sotto i vostri padiglioni laceri s’aggirano sogni funebri e tormentosi, i vostri carri vagabondi non vi sottraggono alle ambasce; chè anche nei deserti regnano le passioni fatali, e l’uomo vi è, come altrove, bersaglio del destino.