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li zingari 47

Zemfira. Alecco!

Lo Zingaro. Io spiro.

Zemfira. Alecco! Tu l’hai ucciso.... mira!... sei tutto cosperso di sangue.... Che hai fatto?...

Alecco. Niente. Ora pasciti del suo amore....

Zemfira. Prosiegui. Io non ti temo; io disprezzo le tue minacce; io maledico la tua crudeltà.

Alecco. Muori anche tu!... (la ferisce.)

Zemfira. Muoro amandolo.


L’aurora ingemma il balzo d’Oriente. Alecco, col pugnale in mano, siede dietro al poggio sulla lapida rosseggiante di sangue. Due cadaveri giacciono innanzi a lui; il suo volto incute spavento in chi lo vede; gli zingari lo circondano esterrefatti e tremanti. Mentre si scava una fossa in disparte, le donne addolorate accorrono in fila a baciare, secondo l’uso, gli occhi dei due morti. Il vecchio padre sen sta tutto solo mirando in muta angoscia la figlia diletta. Gli zingari sollevano i due corpi, li trasportano alla fossa e li ascondono nella fredda terra. Alecco considera tutto da lontano. Quando cadde l’ultima palata di polvere, Alecco si chinò poco a poco e stramazzò sul prato.

Allora il vecchio, avanzandosi, sclamò: “Vattene, uomo superbo e spietato! Siamo selvaggi; non abbiamo leggi; non conosciamo i tormenti nè i supplizi; ci fanno orrore i gemiti e gli omicidi; non vogliamo fra noi un assassino. Non sei nato per la vita errante: per te solo vuoi la libertà; la tua vista