Pagina:Puskin - Racconti poetici, 1856.djvu/83

42 li zingari

Zemfira. Adirati pure; io canto per te. (Se ne va cantando Vecchio marito).

Il Vecchio. Me ne ricordo; questa frottola fu composta quando ero giovine; e d’allora in poi si canta per sollazzar le brigate. La mia Mariola la cantava nelle steppe del Cagul, durante le notti d’inverno, mentre cullava la figlia davanti al fuoco. I tempi andati si van sempre più cancellando dalla mia memoria, ma questo scherzo vi si è profondamente impresso.


Tutto tace; la luna inostra quella parte del cielo ove il sole sparisce. Zemfira risveglia suo padre. “O padre mio, Alecco mi spaventa. Ascolta, in mezzo a un sonno agitato egli geme e piange.”

Il Vecchio. Non lo toccare e non parlare. Ti dirò una credenza russa: verso la mezza notte il genio familiare opprime il respiro di coloro che dormono; parte prima dell’alba. Rimanti meco.

Zemfira. O padre mio! Egli mormora il nome di Zemfira!

Il Vecchio. Cerca di te anche dormendo, tu gli sei più cara di tutto.

Zemfira. Non me n’interessa più del suo amore. Sono annoiata; il mio cuore ha sete di libertà, e di già io.... ma.... senti. Egli pronunzia un altro nome!

Il Vecchio. Che nome?

Zemfira. Senti come anela e digrigna i denti. Che cosa orrenda!... Io lo sveglierò.

Il Vecchio. Non fare; non scacciare lo spirito della notte, se ne andrà da sẻ.