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li zingari 37

tate. Aprono la marcia gli asinelli con ceste appese ai fianchi, nelle quali s’annidano i pargoletti; i mariti, i fratelli, le mogli, le fanciulle, gli anziani e i giovanotti vengono in secondo luogo. Le strida, lo strepito, gl’inni festosi, il ronzio delle zampogne, l’abbaiare dei cani, il cigolio delle ruote, il brontolar dell’orso, il fragor incessante delle sue catene, la bizzarra varietà di quelli abbigliamenti tutti diversi, la nudità di quei bambini e di quei vecchi formano una confusione strana, selvaggia, orrenda, ma in mezzo a cui regna una allegria, una vivacità, che fa un bel contrasto colla nostra esistenza cittadina, effemminata e monotona come i ritornelli delli schiavi.

Alecco rivolgeva spesso la testa a guatare la pianura che attraversavano, e non sapeva spiegarsi in che modo quella vista gli angosciava il cuore. La bella Zemfira dagli occhi neri gli siede allato. Egli è libero in questo vasto mondo; il sole brilla sereno e gaio sul suo capo; perchè mai si affligge e geme? Che cura lo punge e morde?

L’augelletto del cielo non conosce nè cura nè fatica; non s’affanna a fabbricare un nido eterno; nelle lunghe notti dorme sui ramoscelli. Quando il giorno appare, l’augelletto sente la voce di Dio, scuote le penne e canta. Passa la primavera, passa l’estate ardente, e sopravviene l’autunno ammantato di nebbie e di burrasche; l’uomo s’annoia, l’uomo s’altrista, ma l’augelletto vola alle terre lontane, ai climi tiepidi, e al di là del mare ceruleo ritrova la primavera.

Esule, fuggitivo, Alecco simile all’augelletto spensierato, non ha covo stabile nè abitudine fis-