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36 li zingari

s’asconde fra i vapori dell’orizzonte, e Zemfira non riede, e la cena frugale del buon padre si raffredda.

Finalmente essa comparisce. Uno straniero, incognito al vecchio zingaro, le tien dietro a passi frettolosi. “Padre mio,” esclama la ragazza; “ti adduco un ospite; l’ho incontrato dietro a un tumulo del deserto, e l’ho persuaso a star con noi. Egli brama viver come noi; la legge lo proscrive, io gli sarò compagna. Si chiama Alecco; è pronto a seguirci dovunque andremo.”

Il Vecchio. Me ne rallegro: puoi restar fino a domani all’ombra della nostra tenda, o unirti a noi e non ci lasciar più, come a te piace. Acconsento a divider teco il pane e il tetto. Sii nostro; assuefátti al nostro modo di esistenza, alla nostra povertà errante e indipendente. Colla nuova aurora partiremo assieme sullo stesso carro: scegli un mestiere che ti torni a genio; lavora il ferro, o canta storie, o mena a ballar l’orso per le strade.

Alecco. Io resto.

Zemfira. Egli sarà mio. Chi ardirebbe rapirmelo? Ma si fa tardi; la luna è sparita, la nebbia vela i campi, il sonno mi grava le palpebre....


Spunta l’alba. Il vecchio s’aggira pian piano intorno alla tenda silenziosa. “Alzati, Zemfira,” egli grida; “già il sole splende: svegliati, mio ospite, è ora di partire; lasciate, figli miei, le molli piume.”

Tutti gli zingari si levano con gran rumore; ripiegano i padiglioni, rimovono i carri, attaccano i cavalli, e tutti insieme si inoltrano nelle steppe inabi-