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28 | il conte nulin. |
alla padrona. Adesso discorre gravemente del conte, delle sue faccende; conosce appuntino ogni suo negozio. Dio sa come ha potuto istruirsene! Finalmente la padrona le impone silenzio: “Chètati, tu mi secchi!” Domanda la camiciola e la scuffia da notte; s’insinua nel letto e manda via la cameriera.
Frattanto Picard spoglia il conte. Il conte si corca e chiede un sigaro. Monsieur Picard glielo arreca, e al tempo stesso una boccia d’acqua, una tazza d’argento, una bugia di bronzo, uno smoccolatoio a molla, uno svegliarino, e un romanzo non ancor tagliato.
Nulin dà una scorsa alle pagine di Walter Scott. Ma il suo pensiero è altrove. Una atroce cura lo martira; egli dice fra sè: “Sono io forse innamorato? Possibile?... Che caso strano! Sarebbe! bella davvero... Pare ch’io non dispiaccia alla signora di queste soglie....” E così meditando smorzò il lume.
Un caldo insoffribile lo assale; non dorme; e il diavolo neppure, il quale gli suscita in testa mille idee incongrue. Il nostro focoso protagonista si rappresenta al vivo lo sguardo significante della padrona; quella statura rotondetta e grassoccia, quella voce soave veramente femminile, quel volto, quelle carnagioni cui la sanità rende più fresche del rossetto. Si rimembra il gentil tocco della punta di quel piedino; si ricorda esattamente che Natalía gli ha stretta la mano con quella sua manina negligente. È uno stolido; doveva rimanere con lei e cogliere il momento opportuno. Ma non è ancora troppo tardi, la porta sta sempre aperta, senza dubbio. Così divisando, indossa una guarnacca di seta a più colori,