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26 | il conte nulin. |
di fascette, di spille, di bottoni da camicia, di occhialini, di foular, di calze ricamate a giorno, egli si trasporta a Pietroburgo per farvisi vedere come un animal curioso. Ha inoltre nei suoi bauli un libro serio di monsieur Guizot, un album di pessime caricature, un nuovo romanzo di Walter Scott, la raccolta dei bons mots della corte di Francia, le ultime canzoni di Béranger, gli ultimi componimenti di Rossini e di Paer, ec. ec. ec.
Già la tavola è apparecchiata; è battuta l’ora di pranzo; la padrona aspetta con impazienza; l’uscio s’apre; il conte comparisce. Natalía Pavlovna si alza a metà e chiede garbatamente come egli sta di salute e come sta la sua gamba.... Il conte risponde: “Non sarà nulla.”
Siedono a mensa. — Egli avvicina la sua posata a quella di Natalia; appiccano conversazione. Il conte impreca alla santa Russia; non comprende che uno possa vivere fra quelle nevi eterne. Sospira e anela Parigi. — “Che si recita di bello al teatro?” — “Il teatro è orfano.... c’est bien mauvais; ça fail pitié. Talma divien sordo e scade; Mademoiselle Mars, oimè, invecchia. In ricompensa, c’è Potier, le grand Potier! Solo questo cantante mantiene la sua antica riputazione.” — “Quali sono gli scrittori di moda? — “Sempre D’Arlincourt e Lamartine.” — “Hanno imitatori anche presso di noi.” — “Dite davvero? Poffar di bacco! L’ingegno incomincia a svilupparsi anche in Russia. Piaccia a Dio che alla fine c’inciviliamo!” — “Come si portano i busti?” — “Molto bassi.... quasi sino al.... ecco, fin qui.... Permetta ch’io esamini il di lei vestiario.... appunto