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il prigioniero del caucaso. | 13 |
lacrime l’arena; ovunque io vada, essa mi accompagna, e, senza di essa, l’anima mia è simile ad una vedova derelitta e tribolata....
”Lasciami dunque le catene, le solitarie angosce, le acerbe memorie, e il pianto che non puoi divider meco. Udisti le mie sciagure; dammi un amplesso e separiamoci. Dolore di donna poco dura; presto ti scorderai di me; sopravverrà la noia, e amerai di nuovo.”
La vezzosa sen stava assisa colle labbra socchiuse, col ciglio asciutto; il di lei sguardo torbido e immoto esprimeva un rimprovero; pallida come uno spettro essa tremava, e teneva la fredda mano impalmata in quella dello straniero; finalmente sfogò l’interno affanno in questo modo:
”O Russo, Russo! Come mai mi diedi a te per la vita prima di conoscere i tuoi casi? Poche notti la giovine circassa ha riposato nel tuo letto, e poche furono le ore felici che le concesse il cielo. Torneranno esse mai? Svanì per sempre la mia gioia? Potevi, o forestiero, lasciarmi nell’errore; potevi, tacendo, illudermi, e almeno pietosamente bearmi di finte carezze. Avrei molciuto le tue doglie colle mie cure umili e devole, avrei vegliato al tuo capezzale durante il tuo sonno irrequieto.... Non hai voluto. Ma chi è mai questa bella che adori? Tu ami, o Russo, e sei amato! — Io comprendo il tuo disgusto, il tuo lutto.... Perdona il mio pianto.... non ridere del mio martíre....”
Tacque. I singhiozzi, i gemiti straziavano l’animo della fanciulla. La rampogna venne meno sulla di lei bocca. Priva di sentimento, stretta alle ginocchia dello