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xxviii | cenni intorno alla vita |
Childe Harold di Byron. Vi sono poi quelli che levato via il principio del bene vi sostituiscono a dirittura il principio del male e fanno l’uomo un vil ludibrio d’una cieca ed iniqua fatalità. Da tale atroce teoria procedono il Candido di Voltaire, il Don Juan di Byron.
Puschin non trascorre in tali eccessi. La sua Musa è piuttosto ilare che mordace, piuttosto graziosa che grave. Il suo Eugenio Anieghin, che a prima vista sembra partecipare assai del Don Juan, somiglia, ora ad un leggiadro idillio, ora ad una festosa novelletta, e quel c’ha di tragico è condito di tanta amenità che non t’inspira orrore.
Prima di chiudere questo preambolo, fa d’uopo ch’io dia alcuni schiarimenti intorno alla mia traduzione. Quando si tratta d’un libro greco o latino, il traduttore è astretto a una esattezza scrupolosa, perchè ogni scritto di quei tempi è un monumento prezioso per la scienza, più ancor che per le lettere. Ma quando si tratta d’un’autore moderno, il traduttore, credo, può prendere qualche licenza col testo per renderlo più accetto al pubblico. Così ho fatto. Qua e là ho aggiunto o soppresso un epiteto; ho svolto un concetto appena adombrato dall’autore; ho omesso alcuni piccoli tratti inutili che facevano inciampo all’andatura del racconto; ho trasposto alcune particolarità che il poeta russo non aveva collocate nel loro ordine logico.
Darò qui due esempi delle libertà da me prese.
Nella strofa seconda del capitolo quarto del poema d’Eugenio Anieghin, il poeta dice:
«La brina1 ingemma i prati e screpola sotto i passi del camminante. (Il lettore s’aspetta forse che io metta alla rima alcune rose;2 ma se le porti il diavolo).»