Pagina:Puskin - Racconti poetici, 1856.djvu/34


di alessandro puschin xxvii

moltiplicità delle peripezie, dalla complicazione dell’intreccio, ma bensì dall’abile svolgimento d’una o due situazioni principali, dalla maestria colla quale il poeta delinea i caratteri, analizza le passioni, descrive gli accessorii. Questi pregi essenziali possedeva Puschin in altissimo grado, ed essi risplendono in tutti i suoi lavori.

Non sembrami fondata l’opinione di alcuni critici che dichiarano Puschin un servile imitatore di Byron. Certamente l’influenza di Byron è manifesta nelli scritti del poeta russo, ma essa non vi predomina mai a segno di togliergli la sua libertà d’azione e d’inceppargli le ali; è un vento che lo sorregge nel suo volo ma che non lo trascina mai contro il suo volere.

I Greci, per più secoli, protetti dalla sorte, liberi ed opulenti, vincitori dei barbari invasori, si diedero a cantare non già le doglie, ma i diletti della esistenza; non già le bellezze del mondo invisibile, ma quelle del mondo visibile pieno per essi di ninfe e di dei, di mirti ed allori. La loro poesia era la poesia della vita.

Fra gli orientali avvolti in continue calamità, ebbe origine la contemplazione solitaria (rêverie). Fra essi per la prima volta risuonarono quelle parole tremende: «Maledetto il giorno in cui fui generato! Sia quel giorno cancellato dal numero dei giorni!..» Dai lamenti di Giobbe e di Geremia derivò la poesia della disperazione, del disprezzo d’ogni cosa mondana, la poesia delle rovine e della morte; quella poesia infine che senza posa mostra all’uomo il sepolcro spalancato. Ma mentre Giobbe in mezzo alle tenebre del dubbio e del dolore fa risplendere l’autorità d’un Dio onnipotente e benefico, i poeti della melancolia sopprimono quasi del tutto quell’alta intervenzione e abbandonano l’uomo a sè stesso su questo suolo deserto composto delle nostre ceneri e intriso delle nostre lacrime. Tale è l’impressione che ti lasciano nell’animo le Confessioni di Rousseau, il Werther di Gœthe, il René di Chateaubriand, il