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xxiv cenni intorno alla vita

«Escii alle cinque della mattina, e tornai due ore dopo. Sembrandomi che avesse passato la notte con bastante calma, io sperava di trovarlo migliorato. Ma quando arrivai fui crudelmente disingannato. Arendt (altro amico di Puschin) mi assicurò che non compirebbe la giornata. Di fatto, il polso s’affievoliva di minuto in minuto; le mani divenivano fredde. Teneva gli occhi chiusi; di quando in quando alzava la destra per prendere del ghiaccio e fregarsene la fronte. Verso le due pomeridiane aprì li occhi, e domandò della conserva di lamponi. Gliene recarono una tazza." Chiamate mia moglie," sclamò con voce sonora; "ditele che mi faccia mangiare." Essa venne, si pose ginocchioni a capo del letto, gli porse una cucchiaiata di conserva, e appoggiò la sua fronte su quella del moribondo. Puschin l’accarezzò dicendo: "Via, via, non sarà nulla; sto meglio, grazie a Dio; ritírati." La quiete con che parlò, illuse la povera donna che si allontanò raggiante di gioia. "Ora," disse al dottore Spaschi, "sta meglio." In quel punto cominciava l’agonia. Eravamo tre intorno al letto: Vielhorschi, Turghenieff ed io. Dal mi disse all’orecchio: "Egli si spegne." Con tutto ciò, serbava ogni sua facoltà intellettuale. Una volta stese la mano a Dal, e gliela strinse dicendo: "Alzami; più su;... più su...." Dal lo prese per le spalle, e lo tenne alzato; allora aprì gli occhi; rasserenò il sembiante e gridò: "Ho finito di vivere!" E lo ripetè, soggiungendo: "Non posso respirare; mi sento soffocare!" Furono queste le sue parole estreme. Tenevo lo sguardo fisso sopra di lui, e osservai che gli si gonfiava il petto. Volevo cogliere il suo ultimo sospiro sulle sue labbra; ma mi sfuggì. Puschin pareva dormire, ed era passato di vita senza che ce ne accorgessimo. Scorsero due minuti di profondo silenzio, dopo i quali chiesi: "Come sta?" — "È spento," rispose Dal.

«Erano le due e tre quarti pomeridiane del giorno 29 di