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di alessandro puschin | xxiii |
Vielhorschi s’avvicinò allora, e Puschin gli strinse la mano. Sentiva la morte accorrere a gran passi; si affrettava di prender commiato dagli amici. Si tastò il polso, e disse: "La morte s’appressa...."
«Allorchè si sparse per la città la notizia che Puschin stava in pericolo di morte, l’anticamera dell’appartamento si empì di gente. Era un flusso e riflusso continuo di persone d’ogni ceto che venivano ad informarsi dello stato di salute del gran poeta. Chi non poteva venire da per sè, mandava il servitore. Regnava una afflizione, un lutto generale nella città. Tutti prendevano una parte sincera al nostro cordoglio, e molti ne piangevano. Nè gli stranieri domiciliati in San Pietroburgo manifestarono meno simpatia dei Russi medesimi. In noi era naturale l’angoscia; ma essi come mai la dividevano? È facile la risposta. Tutti gli animi cólti son concordi in ammirare l’ingegno, e quando lascia questa terra anzitempo, tutti lo piangono come un fratello diletto. Puschin non apparteneva alla Russia sola, ma al mondo intero; quindi è che tanti forestieri deploravano la sua precoce fine, con rammarico eguale al nostro.
«Puschin mandò il dottor Dal a confortar sua moglie, sebbene egli stesso non avesse più nessuna speranza. Una volta domandò a Dal: "Che ora è?" Poi soggiunse: Quanto tempo.... dovrò ancora.... soffrire!... Oh! per pietà.... più presto...." E ripeteva sovente: "Finirà in breve?... più presto per pietà!..." Ma in totale tollerò i suoi patimenti con una rassegnazione mirabile. Quando li spasimi divenivano troppo acuti, si torceva le mani, e mandava un sospiro, ma così basso che appena si poteva udire. "Ti convien soffrire molto, amico," diceva Dal; "ma non trattenere i sospiri; ti faranno bene." — "No," replicava Puschin interrompendolo; "non voglio.... gemere.... mia moglie.... mi sentirebbe.... non voglio lasciarmi vincere.... dal dolore...."