Pagina:Puskin - Racconti poetici, 1856.djvu/282


pultava. 241

di lupo.... Essa voleva ingannarmi!... Come non si vergogna di straziarmi?... E perchè mi strazia? Affinchè io non me ne vada teco oggi. Sarà mai possibile?”

Il suo amante la ode con immensa compassione. Frattanto Maria, trascinata dalla sconvolta fantasia, seguita a sragionare.

“Mi ricordo,” dice, “quel campo; quella alle grezza strepitosa, quella plebe, quelle due teste.... Mia madre mi conduceva a quella festa... Ma dove stavi tu?.... Perchè da te disgiunta vo io vagando nell’orror della notte? Andiamo a casa. Presto!... Si fa tardi.... Ah che folli pensieri mi assalgono.... Ti tenevo per un altro, buon vecchio.... Lasciami. L’occhio tuo è spaventoso e beffardo. Tu sei deforme.... Egli, è bello.... arde d’amore il suo sguardo, spira grazia e voluttà il suo linguaggio.... i suoi baffi son più candidi che neve, e i tuoi rosseggiano di sangue.”

E la fanciulla piange e ride ferocemente, e più agile d’una cervetta saltella, corre, e sparisce nella oscurità.

L’ombra si diradava. L’oriente si tingeva di color di porpora. I cosacchi accendevano il fuoco e facevan cuocere il riso. Le guardie menavano i cavalli all’acque pure del Dnieper. Carlo si desta. “Su, su, Mazeppa, álzati, è tempo di partire; il giorno spunta.” Ma l’etmanno non dormiva. L’angoscia lo opprime e gli toglie il respiro. Sella in silenzio il suo corsiero, e parte col monarca. Tremendo fu l’ultimo sguardo, l’ultimo addio di Mazeppa agli Stati perduti per sempre.

Cento anni passarono. Che rimane di quei potentati alteri, imperiosi, violenti? Sparvero dalla fac-