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pultava. | 225 |
E Cocciu-bei si dispone a spargere davanti all’Onnipotente le preghiere e le lacrime. Ma colui che entra nel suo carcere non è un sacerdote; è Orlic, ministro di Mazeppa. Fremente di sdegno e di ribrezzo egli grida: “Tu qui, belva? Perchè vieni a turbare il mio ultimo sonno?”
Orlic. L’esame tuo non è finito. Rispondi.
Cocciu-bei. Già risposi. Parti e lasciami in pace.
Orlic. L’etmanno nostro signore esige un’altra rivelazione.
Cocciu-bei. Di che? Io già confessai tutto ciò che voleste. Tutte le mie dichiarazioni sono menzognere. Io son perfido e tendo insidie. L’etmanno è probo. Che volete di più?
Orlic. Noi sappiamo che possedevi immensi tesori, e che gli hai nascosti a Dicagne. Convien che tu paghi i delitti col sangue, e che il tuo oro passi nelle casse dell’esercito. Così detta la legge. Io te la fo palese. Dimmi; ove sono i tuoi tesori?
Cocciu-bei. Sì; hai ragione: Dio per mio conforto mi largiva in questa vita tre tesori. Il primo mio tesoro era l’onore; le torture me l’han rapito: il secondo era mia figlia; Mazeppa l’ha svelta dalle mie braccia, Mazeppa l’ha contaminata: il terzo tesoro tuttora mi resta: è la speme della vendetta. Questo lo porto meco nella tomba.
Orlic. Vecchio, cessa le vane ciance. Sul punto di lasciar la vita, di più gravi pensieri devi pascer la mente. Non è tempo di scherni nè di beffe. Se non vuoi sottoporti a nuove torture, rispondi: ove s’asconde il tuo tesoro?
Cocciu-bei. Barbaro mancipio! Quando cesserai