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pultava. 221


II.

Mazeppa è mesto. Atroci pensieri sconvolgono quel cuore. Maria con tenerezza mira il consorte. Abbracciata ai suoi ginocchi, essa gli ripete dolci asserzioni d’amore. Ma nè le preci nè i vezzi valgono a sperdere quei tetri presentimenti. L’etmanno disattento figge gli occhi a terra, e non risponde che con un gelido silenzio quelle graziose premure, a quei dolci rimproveri. Attonita, sdegnata, finalmente la bella si alza ed esclama: “Senti, etmanno; io per te ho rinunziato a tutto. Io coll’amarti non bramava che una cosa: essere amata. Per te distrussi io la mia felicità. Ma non me ne pento. Tu ti ricordi quella notte placida in cui mi feci tua? Tu giurasti di amarmi. Perchè non m’ami più?”

Mazeppa. Sei ingiusta, amica. Cessa di vaneggiare: lascia codesti edaci sospetti. La passione ti tormenta e ti rende ingiusta. Credimi, Maria; io ti amo più della gloria, più dell’autorità sovrana.

Maria. Mênti; m’inganni. Quant’è che non stavamo mai l’un senza l’altro? Ora, tu mi fuggi; io t’importuno. Meni i giorni interi nei banchetti, nei crocchi, in compagnia degli anziani. A me non pensi più. Passi le notti tutto solo, o coll’incognito o col gesuita. Contraccambi il mio sincero amore con una fredda urbanità. Poco fa bevesti alla salute di Dulsca. Chi è cotesta Dulsca?

Mazeppa. Sei gelosa? Come puoi supporre che un uomo della mia età solleciti i favori d’una disde-