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194 | eugenio anieghin |
la folla variopinta dei lacchè, o di raccogliere il fazzoletto cadutole a terra.
Ma checchè egli faccia per piacerle e per mostrarle il suo affetto e il suo tormento, essa non se ne accorge. Lo accoglie con gentilezza, gli dirige due o tre parole; talvolta gli fa un lieve inchino, talvolta non lo guata nemmeno; insomma non ha traccia di civetteria; quindi è che il gran mondo non la può patire.
Anieghin soffre, le sue guance si scolorano e Taziana non se ne avvede, o non se ne cura. Anieghin divien scarno e macilento, e quasi quasi volge all’etisia. Gli amici lo esortano a consultare un medico; tutti lo consigliano ad andare a far le bagnature, ma egli è più disposto a scendere da Plutone, che a lasciar la capitale. Taziana non gliene sa grado; così sono le donne! Egli s’ostina; spera, sospira; e intanto istecchisce. Finalmente, più audace di quello che sarebbe forse in buona salute, stende con mano infiacchita dalla febbre un biglietto appassionato, diretto alla principessa. Quantunque egli non avesse gran fiducia nelle lettere, pure, spinto dalla violenza della passione, prese la penna e così sfogò il cuore.
Ecco la sua dichiarazione tale e quale.
”Signora! Io lo prevedo, vi offenderà questa franca confessione d’un secreto amore. Che amaro disdegno rifulgerà nei vostri superbi sguardi!
”Che voglio io? Perchè vi schiudo il mio cuore? Perchè vi porgo io così l’opportunità di deridermi e di vendicarvi?
”V’incontrai altre volte per caso; credei scor-