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eugenio anieghin 193

vi fu concesso in dono, non vi alletta; il serpente ognora vi tira a sè sotto l’albero della scienza. Solo il frutto vietato vi tenta, e senza quello il paradiso più non vi sembra paradiso.

Come è cangiata Taziana! Come s’è bene compenetrata dello spirito del suo nuovo rango! Come si è presto appropriato i modi d’una dignità stentata! Chi ardirebbe cercare l’umile campagnola di tempo fa, in quella altera e disinvolta legislatrice dei saloni? Ed egli potè infiammare quel cuore! Alzando li occhi afflitti alla luna, nelle quiete notti, a lui essa pensava intanto che venisse il sonno; e con lui la gentil vergine sperava finire tranquilla il sentiero della vita.

Ogni età è soggetta alle smanie d’amore, ma mentre sono benefiche alla virtuosa giovinezza come la pioggia di primavera ai campi, sono funeste alla vecchiaia. Le procelle delle passioni rinfrescano, rinnovellano, maturano i cuori di venti anni, e fan loro produrre splendidi fiori e saporiti frutti. Ma nell’età provetta e infeconda, il ravvivamento degli affetti non genera che doglia e pianto, simile alle piogge d’autunno che sfrondano i boschi, e convertono i prati ameni in fetidi pantani.

Non v’ha loco a dubbio: Eugenio è perdutamente invaghito di Taziana. Passa i giorni e le notti in amorosi vaneggiamenti. Sordo alle severe rimostranze della ragione, ogni mattino egli va a far sentinella sul verone o nel vestibolo; la segue come ombra il corpo; si stima beato se gli vien concesso di assettarle il soffice boa sulle spalle, di stringerle amichevolmente la mano, di farle strada a traverso