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182 | eugenio anieghin |
ciò ti rapisce fuori di te. Ivi, i dandy insigni fan mostra della loro sfacciataggine, dei loro gilè, dei loro binocles superflui. Qui, gli ussari in congedo, appariscono un momento, cianciano, trionfano e s’involano.
Nell’ombra della notte, molte stelle rilucono; e molte belle rifulgono nella città di Mosca. La luna però, più chiara di tutti gli astri, regna senza rivale nei vasti campi di zaffiro.1 Quella di che io non oso sospirare il nome risplende sola fra tutte le donne. Con qual celestiale maestà s’avanza! Pare che il suo piedino non tocchi il suolo. Che grazia in quel seno! Che languore in quegli occhi! Ma fermo, fermo! Bastante tributo già pagasti alla amorosa insania.
Il frastuono, le voci, il correre, gli inchini, la galoppa, la masurca, il valzer... Taziana intanto seduta presso ad una colonna, fra due zie, non osservata da nessuno, mira tutto, niente vede. Aborrisce quel fracasso; quel calore la soffoca. Pensa alla sua vita agreste, al suo villaggio, ai suoi poveri contadini, al cantuccio solitario ove mormora il ruscello limpido; pensa ai suoi fiori, ai suoi romanzi, all’oscurità del viale di tigli, nel quale egli le apparve.
Così erra la fantasia di lei.
Frattanto un grave generale non cessa di adocchiarla.
Le zie ammiccano fra di loro, e spingono Taziana col gomito, dicendole sotto voce:
“Guarda un po’ a sinistra! presto!...”
“A sinistra? Dove? Che ci è?”
- ↑ Imitazione dell’esordio della prima Olimpiade di Pindaro.