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180 | eugenio anieghin |
di tulle; Luceria Lvovna s’impiastra sempre il viso di biacca; Ivan Petrovicc è sempre lo stesso ciuco di prima; Semen Petrovicc è sempre lo stesso spilorcio di prima; Pelagia Nicolavna ha sempre l’amico Monsieur Finemouche, il can levriero e il marito, il quale è sempre socio assiduo del club, sempre pacifico, sempre sordo, e sempre mangia e beve per due.
A prima giunta, le giovinette Grazie di Mosca esaminano Taziana da capo a piedi senza far motto; la trovano qualche poco strana, provinciale, svenevole, affettata, alquanto palliduccia e magretta, ma in totale belloccia. Poi obedendo allo istinto di natura si fanno sue amiche, la menano a casa loro, l’abbracciano, le stringono le mani, le acconciano i capelli secondo la moda, e finalmente le palesano i loro secreti di cuore, secreti di fanciulle! le conquiste proprie e le altrui, le speranze, le furberie, i desiderii. Le loro innocenti conversazioni passano lievissimamente cosperse di maldicenza. Quindi esigono gentilmente che Taziana contraccambi quelle confidenze con una confessione ingenua. Ma essa ascolta quei discorsi senza diletto, non li comprende, e copre di silenzio e di mistero i pensieri del suo cuore, il tesoro delle sue lacrime e della sua sorte ventura, e non ne fa parte a nessuno.
Taziana brama di assistere alle grandi conversazioni; ma non vi sente che futilità sconnesse, sonore bagattelle, freddure; il linguaggio è sterile e secco, e persino la maldicenza vi è sciocca e noiosa.
In mezzo a quella confusione d’inchieste, di brighe, di pettegolezzi non balena una sola idea in ventiquattro ore, nemmen per caso, nemmen per