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eugenio anieghin 179

non solo il dispiacere, ma anche il piacere mi stanca e opprime.... cara mia, non son più buona a nulla.... è una gran brutta cosa la vecchiaia....”

E così dicendo, tutta ansante incominciò a tossire senza cessar di piangere.

Le finezze, le premure gentili della ammalata cattivano Taziana; la quale contuttociò non può avvezzarsi alla sua nuova dimora tanto diversa di quella che ha testè lasciata. Nel suo nuovo letto, addobbato di cortine di seta, essa non può dormire; e il suono mattinale delle campane banditore delle fatiche quotidiane, la desta nel più bel momento dei suoi sogni. Allora si alza, e s’asside presso alla finestra. La caligine crepuscolare si dirada; l’aria si rischiara; ma Taziana non scorge le sue campagne dilette, e altro non vede innanzi a sè che un cortile incognito, una scuderia, una cucina e una palizzata.

Ogni giorno Taziana è condotta a qualche pranzo di famiglia, è presentata a qualche avola o zia a cui poco bada. Ai parenti che vengon di lontano si fa sempre buona accoglienza, si prodigano gli elogi e le carezze, e si offre il pane e il sale.

“Come è cresciuta Taziana! È molto che io t’ho fatto da comare!”

“E io che t’ho tenuta sulle braccia!”

“E io che t’ho tirata per gli orecchi!”

“E io che t’ho dato tanto pan di zenzero!”

E le mamme e le nonne ripetevano in coro:

“Oh, come gli anni passano presto!”

Ma non v’è nulla di cambiato presso quella buona gente. Tutto è rimasto nell’antico stato. La principessa Elena, la zia, porta sempre una scuffia