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di alessandro puschin xv

vazioni così giuste e fine sulle idee e sui vizi del secolo, che si conciliò l’ammirazione generale.

A dì 3 settembre del 1826, come più sopra accennammo, Puschin ottenne il permesso di tornare a Mosca. Giunto in questa capitale, fu presentato all’imperatore Nicolò che gli fece una gentilissima accoglienza e gli disse tralle altre cose: «Uno scrittore dotato di eminenti facoltà mentali deve applicare il suo ingegno a tramandare ai posteri le virtù del proprio paese.»

Tutto quell’anno passò in feste e in banchetti. Ognuno voleva vedere e udire il gran poeta, le cui opere godevano di sì alta fama. Non trovò un solo istante per lavorare. «Da molto tempo in qua, scriveva, non impugno più la penna, perchè troppe mani mi conviene stringere, e troppi mazzetti di fiori offrire. Frattanto m’inebrio, non già di vino, ma di soavi sguardi, e di quel fumo di gloria che poi non è mica così acre come i poeti voglion far credere.»

Nel 1827, Puschin tornò a San Pietroburgo, e si diede a una operosità instancabile. «Mi pagano, scriveva, un ducato ogni verso che mi sfugge dalla penna.» Questa asserzione, che è esattissima, egli ripeteva con una certa vanità, e pretendeva far credere che non componeva se non per guadagnar danaro. Lo che però non vero, giacchè fu appunto allora che egli si accinse a scrivere in prosa. «Conviene, diceva, accrescere il numero di quei che leggono; e per raggiunger tale scopo bisogna che coloro che scrivono adoprino la forma più accessibile al popolo, cioè la prosa.»

Il suo primo frutto in questo genere, fu una novella intitolata: Il negro di Pietro il Grande. Poi pubblicò cinque altre novelle sotto lo pseudomino di Bielchin; poi la Dama di picche e la Figlia del capitano.

Nel 1829, messe in luce il poema di Pultava, tratto dalla istoria russa. Lo scrisse in uno stile più purgato, più