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170 | eugenio anieghin |
melolonta ronza intorno agli alberi. Le danze s’intrecciano. Il fuoco dei pescatori splende sulla riva opposta. Taziana, immersa nelle sue meditazioni, vaga per la campagna all’argenteo chiarore della luna.... avanza, avanza.... Finalmente scorge sulla cima d’un colle una casa signorile, una borgata, un boschetto a piè d’un poggio, e un giardino bagnato da un ruscello. Taziana contempla quella dimora e il suo cuore batte più forte e più presto. Un momento sta titubante e incerta: “Andrò io più oltre, o tornerò indietro? Egli non è più qui... nessuno mi conosce... darò una occhiata alla casa e all’orto....” E la fanciulla prosiegue il suo cammino, respirando appena... gira attorno lo sguardo inquieto... ed entra nel cortile abbandonato. I cani le si slanciano incontro abbaiando. I ragazzi accorrono in fretta alle strida della giovinetta spaventata. Scacciano i mastini a forza di bastoni e si fanno i protettori dell’incognita.
“Si può vedere quella casa?” domandò Taziana.
Immantinente i ragazzi vanno da Anisia, cercar la chiave del vestibolo. Questa si fece incontro alla visitatrice e le aprì le porte.
Taziana entra nella casa in cui poco fa viveva il nostro protagonista. Guarda, e vede una stecca di bigliardo giacente in un angolo del salotto e un frustino da cavallerizza sopra un divano. La contadina che la conduce, le dice: “Ecco il caminetto; qui il padrone se ne stava seduto tutto solo. Qui desinava secolui nell’inverno il signor Lenschi, defunto. Mi segua per di qua. Ecco lo studio del pa-