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eugenio anieghin | 169 |
eredi si disputano i brani del nostro avere, come cani famelici un osso.
La bella Olga più non adorna la magione dei Larin. L’Ulano, schiavo del suo dovere, fu costretto di raggiunger il suo reggimento. La vecchia madre nel separarsi dalla cara figlia sparse tante lacrime e tanto patì, che parve dovesse spirar l’anima. Taziana stette col ciglio asciutto, ma tinse il volto afflitto d’un biancor di morte. Quando i parenti e gli amici escirono sul verone e poi si strinsero intorno alla carrozza degli sposi per dare loro un ultimo addio, Taziana segui la folla; e quando la carrozza partì, l’accompagnò cogli occhi; e anche dopo che fu sparita, li tenne a lungo fissi in quella direzione.
Ormai Taziana è sola, affatto sola! La compagna della sua infanzia, la sua favorita tortorella Olga le è rapita dal fato, le è strappata dal seno per sempre. Come un’ombra essa erra senza scopo nel giardino deserto; ma nè in quello nè in casa trova consolazione nè sollievo. Vorrebbe piangere, ma le lacrime non sgorgano dal ciglio inaridito e pare che il cuore le si schianti in due pezzi.
In quella crudele solitudine, la sua passione di viene più violenta; amore le parla più altamente del lontano Anieghin. Essa non lo vedrà più; essa deve odiare in lui l’assassino di suo fratello.... Il poeta è spento.... e già più nessuno si sovvien di lui; già la sua fidanzata si è donata ad un altro; la memoria del poeta si è spersa come un vapore nel vasto azzurro cielo. Due soli cuori forse, tuttora pensano a lui e si rammaricano.... ma perchè rammaricarsi?
È notte oscura. Il fiume scorre silenzioso. Il