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nostra, sicchè non ci possiamo rallegrare del rinascimento dei fiori? O, comparando con angoscia i nostri belli anni ai bei giorni, il ritorno di questi ci fa più aspramente risentire la fuga di quelli? Forse anche ci apparisce in una visione poetica qualche antica primavera, la cui idea ci ripone sotto occhio una regione remota, una serata serena al lume della luna....

Onesti poltroni, savi epicurei, mortali indifferenti e beati, uccelletti nutriti nel nido di Levscin,1 Priami delle campagne, e voi sensibili dame, la primavera vi chiama in villa. Ecco il tempo del caldo, dei fiori, del lavoro; il tempo delle passeggiate fantastiche, delle notti scandalose. In villa, amici miei! Presto, presto, salite nelle carrozze cariche a più non posso, salite nelle diligenze; evadetevi dal carcere delle città.

E tu, lettor benevolo, sali nella tua calescia e abbandona la affaccendata metropoli dove hai passato l’inverno in feste e in gioco. Vieni in compagnia della mia capricciosa Musa a udire il mormorio crescente delle selve, lungo il ruscello innominato, presso alla borgata ove Eugenio, anacoreta atrabiliare e ozioso, viveva poco fa in vicinanza della giovine Taziana, di quella mia diletta visionaria.... Egli non vi sta più, ma vi ha lasciato un’indelebile traccia.

Fra quell’anfiteatro di montagne andiamo là dove un’acqua limpida serpeggiando per i verdi prati scende al fiume a traverso una macchia di tigli. Là il rosignolo, poeta della primavera, canta tutta la

  1. Autore di opere economiche.