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164 | eugenio anieghin |
da, il capriccioso originale che uccise il giovine poeta?”
Pazienza! Vi narrerò il tutto in regola e in dettaglio,1 ma non oggi. Sebbene io ami svisceratamente il mio eroe, io devo ora lasciarlo in disparte, ma per poco. L’età matura m’inclina alla prosa. L’età vuol ch’io ripudi la rima pazzerella, che troppo a lungo ho bazzicata e accarezzata. Lo confesso e me ne pento. Ma fortunatamente la mia penna non ha più la smania di schiccherar baie canore: pensieri più gravi, cure più nobili occupano la mia mente nella solitudine e in seno alla società.
Ho conosciuto nuove brame, ho provato un nuovo tormento. Ma ormai non ho più speranza; e mi rincrescono le mie passate inquietudini. O illusioni! illusioni! Ov’è la vostra dolcezza che rima così bene con giovinezza? È egli vero che questa già perda per me la sua brillante corona? È egli vero che la prima vera di mia vita è spenta per sempre, spenta senza una sola funebre elegia? È egli vero che non tornerà più? È egli vero che fra poco avrò trent’anni?
Così è pur troppo! Eccomi giunto al meriggio del mio corso; è forza ch’io ne convenga. Dunque separiamoci da buoni amici, o mia spensierata gioventù! Ti ringrazio delle voluttà, delle soavi ambasce, del trambusto, delle tempeste, dei banchetti e di tutti i tuoi doni; te ne ringrazio cordialmente. Sotto le tue ali, nel tumulto e nella calma, io ho goduto assai; basta così! Ora, con animo sereno, entro in una nuova via per divezzarmi della vita passata.
- ↑ Altra espressione che puzza di francesismo. Ma è d’uso sì comune che non mi fo scrupolo di adoprarla.