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eugenio anieghin 161

faccia domina una quiete che fa spavento. La palla gli ha colpito il cuore. Il sangue sgorga bollente e fumante dalla ferita. Poco fa, quel cuore palpitava di poesia, di speranza, d’amore, quel sangue ferveva di vita; — adesso tutto è calma, silenzio e tenebre. Come in una abitazione abbandonata, le imposte son serrate, i cristalli son intonacati. La padrona di casa non ci sta più. Dove sia, Dio lo sa: — se n’è smarrita ogni traccia.

È un piacere trafiggere l’insolenza d’un nemico con salaci epigrammi; è un piacere vederlo allorchè mitriato di superbe corna, si mira in uno specchio e si vergogna di riconoscersi; è un piacere ancor maggiore vedere che vi si riconosce ed esclama: “ioson quello!” Ma il nec plus ultra d’ogni piacere, è apprestargli una onorevole sepoltura, e appuntargli un’arme al muso da una distanza giusta. Mandarlo però ad patres, è uno scherzo di che, io credo, voi non siete gran fatto ghiotto.

Se dunque vi accade di uccidere un giovine amico che vi offese inter pocula con un ghigno o una risposta insolente, o con qualche altra bazzecola, e se eccitato dalla stizza egli vi sfida orgogliosamente in duello, ditemi: che sentimento signoreggerà l’anima vostra quando lo vedrete steso a terra, in preda all’agonia, già gelido, già livido, sordo al vostro disperato appello?

Lacerato dal rimorso, Eugenio, stringendo sempre l’arme funesta, contempla l’infelice Lenschi.

“Ebbene, è morto!” osservò Zarieschi.

Morto!... Nabissato da tale orrenda notizia, Anieghin tutto tremante s’allontana e chiama i servitori.