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eugenio anieghin 159

Monta e vola al molino. Fa segno al servo di seguirlo colle pistole di Lepage,1 e al cocchiere di avanzar nella campagna verso due piccole quercie.

Lenschi stava appoggiato alla diga. Zarieschi, da profondo agronomo, biasimava il modo in che era fatto un pagliaio.

Anieghin s’approssimò scusandosi. “Ma dov’è” esclamò Zarieschi “il vostro secondo?” Zarieschi classico e pedante nei duelli si sdegnava d’una tale in frazione ai veri principii della monomachia. Permetteva che si stendesse al piano un uomo per una bagattella, purchè si osservassero le regole dell’arte e le austere tradizioni degli antichi; lo che è da lodarsi in lui.

“Il mio secondo?” rispose Eugenio. “Eccolo: Monsieur Guillot. Spero che non vi opporrete a tale scelta; benchè egli vi sia ignoto, egli è un galantuomo.”

Zarieschi si morse le labbra. Anieghin così parlò a Lenschi:

“Ebbene, cominciamo!”

“Cominciamo,” ripigliò Vladimiro.

E si portarono dietro il molino.

Mentre Zarieschi e il galantuomo fissavano a quattro occhi le condizioni del combattimento, gli antagonisti stavano fermi colle ciglia basse.

Antagonisti? Ma quanto è che non sono più amici? Quanto è che l’uno sitisce il sangue dell’altro? Quanto è che dividevano gli ozi, le pene, la mensa, i pensieri, e gli atti? Adesso accaniti l’un contro l’altro come due nemici ereditari, tramano, quasi in

  1. Celebre fabbricante d’armi in Parigi.