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156 | eugenio anieghin |
A quella domanda, Lenschi senti cadere tutto il suo furore, se ne stette colla bocca chiusa, e si grattò il naso. La gelosia, il dispetto, la rabbia, sparirono davanti a quello sguardo sereno, a quel contegno ingenuo, quella voce espressiva. Egli contempla Olga con occhio di compassione; vede che è ancora amato! Già il pentimento lo assale; sta per implorar perdono; trema, non trova le parole...... è felice.... è quasi guarito.
Cogitabondo, abbattuto, Vladimiro non ha la forza di ricordare alla fanciulla gli eventi della precedente sera. “Io sarò,” egli pensa, “il di lei liberatore; non soffrirò che un seduttore cerchi di perdere quel giovine cuore, coll’èsca delle lodi e delle lusinghe. Non tollererò che un verme impuro e velenoso roda lo stelo di quel giglio candido, nè che quel fiore mattutino mezzo sbocciato s’appassisca all’alito del vizio.” Tutto ciò significava, amici miei: son risoluto di battermi coll’amico.
Oh se avesse sospettato qual piaga ulcerava il cuore della mia Taziana! Se Taziana avesse potuto prevedere che l’indomani Eugenio e Vladimiro dovevan contendersi l’asilo del sepolcro! Chi sa? Le di lei premure avrebbero forse rappattumato i due rivali. Ma nessuno fino ora s’è accorto nemmen per sogno di questa passione. Anieghin non parla più di nulla; Taziana languisce in silenzio; la balia sola avrebbe potuto indovinar tutto, ma non è gran fatto perspicace.
Tutta la sera, Lenschi fu ora raccolto in sè, ora espansivo e lieto; ma gli alunni delle Muse sono sempre così. Coi capelli arruffati egli sie-