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150 eugenio anieghin

gentemente le ore del desinare, della merenda e della cena. In campagna, queste ore si conoscono senza grande sforzo, lo stomaco ci fa da orologio esattissimo. E qui pregherò il lettore di notare che in questo mio poema io ragiono spesso di banchetti, di pietanze e di tappi come fai tu, o divino Omero, idolo nostro da tre mila anni in qua!

Le fanciulle vanno in gran cerimonia a prender ciascheduna una tazza di tè, quando si sente dietro la porta della sala grande un concerto di flauto e di fagotto. Elettrizzati da quell’armonia, i giovanotti metton da banda il tè e il rhum. Pietuscoff, il Paride dei villaggi circonvicini, s’accosta ad Olga; Lenschi a Taziana; Triquet alla Carlicoff, ragazza di matura età, e il mio cugino Buianoff s’impossessa della signora Pustiacoff. Il ballo incomincia.

Nella prima parte di questo romanzo (vedi il primo capitolo) volevo dipingere i balli di San Pietroburgo, alla maniera dell’Albano. Ma diviato da vane riflessioni, da dolci rimembranze, io mi cacciai dietro alle vostre orme delicate, o piedini! o piedini e mi smarrii, e perdei il filo del mio racconto. Ma col dileguarsi dei miei belli anni io diverrò più savio, riformerò i miei costumi e il mio stile, e purgherò questo quinto canto da ogni digressione superflua.

Il walzer imperversa come un turbine e passa monotono e pazzo come la gioventù. Una coppia succede all’altra. Mentre l’ora della vendetta s’appressa, Anieghin, esultando di soppiatto, danza con Olga, poi quando è stanca la fa sedere e discorre seco di vari oggetti. Due minuti dopo, eccolo che vola