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eugenio anieghin | 145 |
rimase nelle fredde tenebre, sola col suo amico. Questi la conduce lentamente in un cantuccio, la pone sopra uno sgabello zoppicante e adagia il capo sulla di lei spalla. Ma ecco sopravviene Olga; Lenschi le tien dietro. Splendono i lumi. Anieghin vibra il braccio; butta fuoco per gli occhi e insulta gli importuni visitatori. Taziana sviene. L’alterco si fa sempre più aspro. Eugenio impugna uno stiletto e atterra Lenschi; una oscurità fitta regna intorno; un urlo disperato vola al cielo; la capanna barcolla.... Taziana si risveglia tramortita.... guarda; fa chiaro nella sua stanza. I purpurei strali dell’alba si rifrangono nelle brine dell’invetriata; s’apre l’uscio. Olga entra più vermiglia dell’aurora nordica e più leggera di una rondinella. “Dimmi, sorella, che cosa hai veduto in sogno?”
Taziana tuttora in letto non bada alle parole d’Olga. Scorre l’una dopo l’altra le pagine d’un libro e non fa motto. Questo libro non racchiudeva nè graziose finzioni poetiche, nè savi consigli filosofici, nè imagini. — Non era un volume di Virgilio, o di Racine, o di Walter-Scott, o di Byron, o di Seneca; non era un fascicolo del Journal des modes sì caro alle signore. Era l’interprete dei sogni di Martino Zadeca, il primo dei maghi, il re degli indovini. Questa sublime opera, un mercante ambulante la portò nel villaggio e la vendè a Taziana per tre rubli e mezzo con di giunta una Malvina scompagnata, una raccolta di favole popolari, una grammatica, due Petreidi1 e un terzo volume di Marmontel. Martino Zadeca divenne in breve il libro prediletto
- ↑ Poema russo nel genere classico, cioè noioso.