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eugenio anieghin | 139 |
CAPITOLO QUINTO.
Tolga il cielo, o mia Svetlana, che tu conosca
quelle orrende novità.
givcovschi.
In quell’anno l’autunno fu lungo. La natura sospirava l’arrivo dell’inverno. Finalmente nevicò nella notte del terzo giorno di gennaro. Taziana si destò di buon mattino e scorse per i vetri della finestra i muri, i tetti, l’atrio, coperto d’un mantello bianco. I cristalli si rabescano di filigrana, agli alberi pendon fiocchi d’argento; un tappeto scintillante e morbido copre le montagne; e le gazze saltellano e ciaramellano nel cortile.
Il villano trionfante sale sulla sua ampia slitta; il suo ronzino trotta veloce su quel terreno soffice e sicuro,1 la chibitca2 vola e lascia appena dietro a sè un’orma fuggitiva; il postiglione siede a cassetta con una casacca irsuta in dosso e una cintola rossa alla vita. Un garzoncello per diporto colloca un cane nero nel suo carretto, e vi s’attacca a modo di cavallo; ma mentre così scherza gli si gelano le dita; gli dolgono e ne ride: frattanto sua madre lo garrisce dalla finestra.
Ma forse simili ragguagli non hanno nessuna attrattiva per voi; tutte queste circostanze vi sem-