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di alessandro puschin | xi |
al 1817, Alessandro Puschin produsse più di cento venti lavori poetici, e incominciò il poema di Ruslano e Liudmila, che compì nel 1818, e diede alle stampe nel 1820. Questo poema, cavato dalle tradizioni popolari slave, non incontrò l’esito che poteva aspettare l’autore, e suscitò critiche acerbe e violenti, sebbene fosse il primo poema in lingua russa che sostenesse la lettura. Fino allora poema e seccatura erano stati sinonimi.
Imbevuto delle dottrine liberali di Voltaire e di Rousseau, Alessandro Puschin non era un suddito molto rispettoso ed obediente, e ardiva non di rado biasimare gli atti del governo. Tale intemperanza di lingua fu cagione che l’imperatore lo mandò in bando nella Russia meridionale, verso l’anno 1820. Questo viaggio forzato non fu sterile per le lettere.
La prima città ove abitò fu Chiceneff. Ivi stava sotto la guardia del generale Inzoff, il quale diceva che gli costava meno fatica il governare una provincia, che il sorvegliare un poeta. «Dapprima, diceva egli, mi toccava avergli sempre gli occhi addosso: ogni giorno qualche scapestraggine, qualche pazzia cui bisognava rimediare.» Quando era troppo indocile lo mettevo in arresto, e ponevo una sentinella alla sua porta; ma egli scappava per la finestra.... E allora chi gli correva dietro?»
Il generale Inzoff gli permise di fare una gita nella regione del Caucaso. Ivi il suo ingegno cambiò indole e natura. «Io divengo malvagio, scriveva a un suo amico, o piuttosto, io divengo buono, poichè mi stacco dalle cose di questo mondo. Aspettatevi a qualche produzione byroniana.»
E tenne parola, componendo in quei deserti Il prigioniero del Caucaso, e il primo canto di Eugenio Anieghin.
L’astro di Byron era allora nel suo meriggio, ed eclissava tutti gli altri luminari del Parnaso. Puschin, rischiarato da quello, vide le cose sotto un nuovo aspetto, e trovò