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128 eugenio anieghin

Ciascun di noi in questo mondo ha i suoi nemici; ma Dio ci liberi dagli amici!1 Io ne ho avuti tanti, o amici miei! E sa il cielo se la loro amicizia mi fu cara!

Ma procuriamo di sbandire le larve insane e funebri che ci assediano. Intanto, fra parentesi, noterò una verità. Non havvi ciarla assurda e plateale; non havvi calunnia vile e sucida nata nel fango dei postriboli e ampliata dalla scelleraggine del gran mondo,2 che il vostro amico non ripeta le mille volte in un crocchio di persone oneste, senza la menoma malizia nè perfidia; anzi con un sorriso di benevolenza; imperocchè egli, in fatti, vi è devoto, e vi ama come un prossimo consanguineo.

Hem! Hem! Pregiatissimo lettore! Sta sana tutta la vostra famiglia?... Ma forse gradireste sapere che cosa io intenda per famiglia. Ve lo definirò in poche righe. Nostra famiglia sono coloro cui ci corre obligo di adulare, di accarezzare, di venerare con tutto il cuore; coloro che, secondo l’uso di questo paese, dobbiamo abbracciare nel giorno di Natale, o ai quali dobbiamo mandare a capo d’anno un biglietto di visita per la posta, affinchè durante i dodici mesi seguenti essi non pensino più a noi.... Che Dio conceda loro lunga vita!

L’affezione d’una tenera fanciulla è più salda di quella degli amici e dei parenti. In mezzo alle

  1. Questo pensiero pare tolto da un distico trovato scritto sopra un muro dei pozzi di Venezia:

               Da chi mi fido mi guardi Dio,
               Di chi non mi fido mi guarderò io.

  2. Gallicismo inevitabile.