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eugenio anieghin | 107 |
sebbene conosca la virtù e i pregi di lei, si mostra sempre barbaro, accigliato, arrabbiato, freddamente geloso, e sempre bestemmia il suo destino. Questo è il mio ritratto. Cercavate voi un tale sposo, o anima casta e pura, quando mi scriveste con tanto senno e tanta grazia? No, vi risparmi il cielo una tale sciagura. Le illusioni sono come le ore; passano e non tornan più. Le mie non possono rivivere. Vi amo come s’ama una sorella e forse anche con maggior fervore. Uditemi dunque senza ira. Spesso accade che una fanciulla sostituisce a un errore un altro errore, come l’albero all’aura di primavera rinnovella le foglie. Così prefisse il fato. Amate ancora, ma.... sappiate moderarvi; non tutti intenderebbero il vostro linguaggio come l’ho inteso io. L’inesperienza, può condurre ad un abisso....”
In tal modo finì la predica d’Eugenio. Taziana l’ascoltò col respiro interrotto dall’angoscia, cogli occhi accecati dalle lacrime, nè ardi fare una sola osservazione. Egli le porse la mano. Essa la prese mestamente o meccanicamente (come dicon taluni), e vi si appoggiò in silenzio. Poi fece il giro del viridario, e se ne tornò a casa colla testa bassa. Entrarono insieme nel salone, e nessuno fiatò parola. La vita di campagna ha le sue franchige e i suoi cari privilegi come la città di Mosca.
Confesserete meco, lettore, che il nostro amico agì molto garbatamente colla misera Taziana. Non era la prima volta che egli dava saggio di generosità, sebben la malizia della gente lo accusasse d’ogni vizio. I nemici e gli amici (espressioni quasi sinonime) gareggiavano di zelo a diffamarlo.