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126 | eugenio anieghin |
no. Ho fra mano la confessione d’un’anima credula e ingenua.
“Il vostro candore mi è caro. Il vostro affetto ridestò quasi l’agitazione in un petto da gran tempo tranquillo. Ma non voglio lusingarvi; voglio contraccambiare la vostra schiettezza con una schiettezza non minore. Datemi ascolto un momento. Io mi sottometto alla vostra sentenza.
“Se io potessi circonscrivere la mia esistenza nella sfera domestica; se il destino propizio mi volesse fare sposo e padre; se gli onesti piaceri della vita di famiglia potessero un istante affascinarmi; io non prenderei per certo altra consorte che voi. Vi dichiaro senza nessuna iperbole poetica che trovo in voi quel tipo ideale che mi son dipinto nella mente, e che vi sceglierei qual socia dei miei tristi giorni, quale simbolo e modello d’ogni cosa bella. E credo che con voi io sarei felice quanto mi sia concesso di essere.
“Ma io non son nato per la felicità! Quando la buona ventura mi si para davanti, io le volto le spalle. Ammiro il vostro merito, bramerei goderlo; ma ne son indegno. Credetemi, il matrimonio sarebbe per noi un vero martoro. Più vi avrei amato prima di possedervi, meno vi amerei dopo. Vi mettereste a piangere. Le vostre lacrime non mi moverebbero, anzi mi accanirebbero sempre più. Queste son alcune delle rose di cui ci cingerebbe l’imeneo per molti e molti anni.
“Non credo v’ abbia al mondo spettacolo più tristo di quello d’una povera moglie che geme dì e notte nell’abbandono e aspetta il marito, il quale,