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eugenio anieghin | 113 |
la luna fa la ronda nella volta cerulea del firmamento; il rosignolo esala i suoi melodici trilli nella caligine dei boschi. Benchè sia tardi, Taziana non riposa, ma confavella a bassa voce colla balia.
“Non posso dormire, balia; fa così caldo qui!... Apri la finestra e pónti a sedere accanto a me.”
“Che hai, Taziana, che hai?...”
“Sono inquieta; discorriamo un poco del tempo passato....”
“Che ti dirò mai?... Sapevo molte istorie d’orchi, di malvagi spiriti e di fanciulle, ma mi son fuggite dalla mente.... quel che sapevo non lo so più.”
“Raccontami gli anni di tua gioventù. Sei mai stata innamorata?”
“Ti pare, Taziana! In quei tempi non si parlava ancora d’amore; e se ci avessi pensato, mia matrigna buon; anima m’avrebbe ammazzata.”
“Come dunque facesti per maritarti?”
“Non ne so nulla; Dio volle che così fosse. Il mio Gianni, era più giovine di me.... io avevo tredici anni. Una comare venne dai miei genitori, e finalmente mio padre benedì la nostra unione. Io piansi tanto, tanto, dalla paura! Mi intrecciarono i capelli ad onta dei miei urli, e mi menarono cantando in chiesa. Così entrai in una nuova famiglia.... Ma, Taziana, tu non mi ascolti....”
“Ahimė, balia mia, io smanio, io spasimo, io sto per singhiozzare, per prorompere in pianto.”
“Figliuola cara, sei incomodata.... Dio ci aiuti e ti conservi! Domandami quel che gradisci.... Lascia ch’io ti spruzzi il viso d’acqua santa.... Sei tutta bollente....”