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viii cenni intorno alla vita

di vari titoli, e finalmente lo nominò generalissimo. Suo figlio maggiore, Giuseppe Hanibal, menò vita agitatissima; ripudiò la prima moglie, ne sposò un’altra mediante una falsa fede di decesso; ma accusato di bigamia dal proprio fratello, venne condannato ad assegnare un’annua pensione alla prima moglie Maria, madre di Nadege, la quale nell’anno 1797, sposò Sergio Puschin, e lo rese padre del nostro poeta.

Alessandro portava i segni di questa origine mezza slava, mezza africana. Aveva carnagione olivastra, naso alquanto schiacciato, narici rilevate e mobili, capelli ruvidi e naturalmente crespi, occhi d’un colore cupo indeciso. Focoso, impaziente, appassionato, si lasciava facilmente trasportare dallo sdegno; i suoi accessi di furore eran tremendi, ma duravan poco tempo, e tosto egli se ne pentiva e se ne scusava dicendo: "Non è mia la colpa; è quel diabolico sangue africano che mi fa impazzare." Ciò non ostante, egli adorava sua madre, e rispettava altamente il suo zio materno Giovanni.1

Il padre di Puschin era uno di quei gentiluomini dei quali Caterina II diceva: "Questi signori sanno il loro Molière a menadito." Aveva belle maniere, vestiva con gusto, rispondeva con brio, amava la cucina francese e la letteratura francese. Diede a suo figlio per precettore un emigrato parigino, il conte di Montfort, versatissimo nelle lettere, nella musica e nella pittura. Forse appunto per questa sua varietà di cognizioni il conte si occupava pochissimo del suo allievo, il quale, abbandonato a sè stesso, profittava della libertà concessagli, per introdursi di soppiatto nella biblioteca di suo padre e passarvi talvolta notti intere a leggere ogni specie di libri. Ma siccome la maggior parte dei libri

  1. Alessandro Puschin non è il solo esempio di uno scrittore mezzo moro: il romanziere Alessandro Dumas è figlio di un mulatto, e porta sulla fisionomia tutti i caratteri di quella razza.