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106 | eugenio anieghin |
reo madrigale. Siccome poi continuava in quella vena poetico-sepolcrale, improvvisò iscrizioni analoghe per suo padre e per sua madre.... Ahi che le generazioni, quasi mèssi caduche, germogliano, per voler della Provvidenza, nei solchi della vita, maturano, si inaridiscono, periscono! Altre poi subentrano a quelle.... La nostra razza fragile e fugace, cresce, si agita, ferve, e precipita al fine nell’abisso funesto, in che la spinge senza cessa il tempo. E verrà un momento, in cui i nostri nepoti ci cacceranno dal mondo per occupare il nostro posto.
Frattanto inebriatevi, amici, di questa labile esistenza! Io ne fo poca stima, perchè ne conosco tutta la vanità. Son ceco alle illusioni, ma talvolta le speranze remote mi abbagliano ancora la vista, e mi rimescolano il sangue.... Oh quanto mi dorrebbe d’escir di vita, senza lasciar nel mondo orma del mio passaggio! Non scrivo già per la fama: vorrei poter narrare il mio tristo destino, affinchè qualche amico serbasse nel cuore l’eco dei miei lamenti e del mio amore. — Forse troverò quell’amico; e questa strofa da me composta, non piomberà in grembo a Lete. Forse, o lieta idea! l’avvenire serberà il mio ritratto, e lo mostrerà dicendo: “Questi, questi era poeta!” Accogli dunque le mie grazie, o cultore delle pacifiche Pieridi, o tu la cui mano pietosa adunerà le mie sparse rime, e cingerà il mio crin canuto di sempre verdi allori!