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102 | eugenio anieghin |
scelta dei cognomi (per non dir nulla del poco gusto che mettiamo nei versi). Fra noi non abonda l’istruzione, ma soltanto l’affettazione e le smorfie di quella.
Si appellava dunque Taziana. Nè la sua carnagione di ligustri e rose, nè la bellezza di Olga sua sorella, avevan finora potuto attrarre sopra di lei l’attenzione della gente. Schiva, taciturna, melancolica, paurosa come una damma selvatica, l’avresti creduta straniera nella propria famiglia. Non sapeva, a forze di lusinghe, cattare la buona grazia dei genitori. Non si associava alle danze nè ai giuochi delle fanciulle della sua età, e preferiva starsene sola e muta, per giorni interi, nel cantuccio d’una finestra; o ascoltare, di sera, novelle orribili e strane.
Meditabonda fin dalla sua nascita, Taziana sapeva animare colle finzioni della vivace fantasia i suoi solitari ozi. I delicati suoi diti non avevan mai toccato un ago. Non si chinò mai a un tamburo per screziar la tela di fogliami e figure di seta.
Sintomo certo di uno spirito dominatore è veder una ragazza che si esercita colla docile sua bambola alle ipocrisie, alle etichette della società, e ripete a quel pezzo di legno le riprensioni che ha ricevute dalla mamma. Taziana non volle mai divertirsi colle bambole nè conversar con loro dei pettegolezzi della città o delle ultime mode. Quando la balia adunava in uno spazioso giardino tutte le fanciulle del vicinato per giocare alla sbarre con Olga, Taziana se ne andava altrove. Quel ridere romoroso, quei sollazzi frivoli, l’annoiavano. Ad essa piaceva più anticipare sopra un balcone lo spuntar dell’alba, quando a poco a poco le stelle si ritirano dall’emisfero scolorato; quando la